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LE SCIENZE febbraio 2002

Il business della medicina cinese

Marco Cattaneo

Il testo integrale di questo articolo si trova sul numero di febbraio di "Le Scienze"

La lunga storia della medicina cinese merita il beneficio dell'attenzione. Se non altro perché il Classico delle erbe fondamentali dell'imperatore Shennong vedeva la luce nel I secolo a.C., e dei 365 rimedi in esso classificati erano descritte le proprietà, le indicazioni e le controindicazioni, le dosi e le modalità di somministrazione e i luoghi dove reperirli. Se non bastasse, nei primi secoli della nostra era i medici cinesi avevano inventato la vaccinazione. O almeno qualcosa di molto simile. Trattavano le croste dei malati di vaiolo polverizzandole in modo che diventassero inalabili. Una volta preparate, le somministravano ai bambini, che sviluppavano un'immunizzazione almeno parziale nei confronti della malattia.
Le ricette della nonna, si sarebbe tentati di dire. Dimenticando, però, che anche in Occidente la farmacologia ha avuto il suo grande sviluppo nel XX secolo. La penicillina fu scoperta da Fleming nel 1928 e i sulfamidici sono degli anni trenta. Ma anche oggi, in una fase in cui l'interesse delle case farmaceutiche e della ricerca sembra rivolto alle promesse della farmacogenomica, uno dei più efficaci farmaci anticancro è il tassolo, un metabolita della pianta del tasso che presenta una capacità unica nell'inibire la crescita di cellule cancerogene. Dunque, nell'era della tecnologia, tra i fitoterapici si trovano ancora sostanze dalle proprietà sorprendenti.
La medicina tradizionale cinese, naturalmente, non è solo farmacoterapia. Comprende massaggio e fisiochinesiterapia, moxibustione - una tecnica con la quale tramite il calore si fanno penetrare attraverso la pelle sostanze che svolgono un'azione benefica - e riflessologia. Ma la sua versione di maggiore successo è l'agopuntura. Questa pratica, vecchia di almeno 25 secoli, è stata accolta in Occidente intorno agli anni settanta, ma prima di affermarsi in diversi campi è rimasta a lungo avvolta da scetticismo e diffidenza.
Se l'agopuntura riesce in qualche modo a emergere, altra storia è quella della fitoterapia. "Le terapie a base di erbe hanno funzionato per migliaia di anni, e sono state provate su miliardi di cinesi, ma ciò di cui abbiamo bisogno sono prove" ha dichiarato con determinazione Cao Zeyi, vicepresidente dell'Associazione medica cinese, a un convegno svoltosi nel giugno scorso presso il MIT. E in effetti le preoccupazioni di molti medici occidentali sono, almeno in alcuni casi, fondate. Alcuni rimedi tradizionali cinesi hanno mostrato una tossicità allarmante e hanno scatenato reazioni avverse una volta somministrati in associazione con farmaci.
Ciò nonostante, molti strati dell'opinione pubblica occidentale si stanno rivolgendo alla fitoterapia con un entusiasmo che talora rasenta l'irrazionale. Secondo la PhytoPharm di Berlino, il mercato dei fitoterapici ha raggiunto nel complesso un fatturato di 46 miliardi di dollari nel 1999. Nello stesso anno, la Cina ha esportato rimedi tradizionali per un totale di 615 milioni di dollari. I National Institutes of Health hanno investito, nel solo 2001, 89 milioni di dollari in ricerche sulle medicine alternative, e sono orientati a istituire una rete internazionale per condividere ricerca, conoscenze e standard di produzione. Probabilmente molti dei "rimedi della nonna" proposti dalla medicina tradizionale cinese non passeranno il vaglio delle norme. Altri, invece, sembrano sulla buona strada. E allora forse vale la pena di vincere la nostra diffidenza e di provare. Non ad affidarvisi ciecamente, ma a valutarne seriamente il potenziale. Senza entusiasmi ingiustificati, ma anche senza pregiudizi.
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