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REPORTAGE

SHIATSU IN PALESTINA

Ciao, sono Ida. L’ultima settimana di giugno 2005 mi sono recata in Palestina a trovare un’amica italiana che insegna pianoforte nel conservatorio Nazionale Palestinese Edward Said. Adriana, la mia amica, oltre ad ospitarmi nel suo appartamento di Bethlehem facendomi vivere nella realtà locale, ha organizzato alcuni incontri divulgativi di introduzione allo shiatsu a Bethlehem ed a Ramallah.


BETHLEHEM
Non si può parlare di shiatsu in Palestina senza tener conto del contesto “particolare” in cui è avvenuta questa breve esperienza piena di significati.
Innanzitutto il viaggio con i controlli e la paura di non avere il visto d’ingresso. Per avere tale visto, sono necessari alcuni requisiti che io non avevo, per esempio un albergo prenotato in una qualsiasi città turistica israeliana. Credo non sia un’opzione favorevole dichiarare di voler soggiornare nella West Bank o Cisgiordania, una specie di terra che pare produca solo grane e terroristi: Bethlehem è nella West Bank, in Palestina appunto…
Le prime seccature le ho incontrate all’aeroporto di Zurigo al controllo della security israeliana. Hanno fatto di tutto per farmi sentire un passeggero di serie b: smistata nel reparto “individui sospetti, valigie e documenti da ricontrollare”, sono stata condotta in un deposito bagagli dove mi hanno prelevato borsa e bagaglio a mano per aprirlo da un’altra parte…
Al check point di Bethlehem, invece, ci hanno proprio ignorate. Loro, i soldati, nella guardiola con la radiolina, le bibite e i mitra spianati. Noi, Adriana ed io, attraverso un passaggio angusto con la valigiona, su e giù dagli scalini col metal detector che gracchia…« ci perquisiscono Adri? » le chiedo un po’ impaurita, dopotutto è la prima volta che attraverso un check point.
« no, è solo per rompere le scatole, non gliene frega niente di noi…» I check point sono alcune delle tante e variegate prove di sfinimento che si devono “pazientemente” superare quando ci si sposta in Palestina. «E adesso dove andiamo, tra i capannoni della zona industriale?» chiedo io spaesata. Non c’è più nessuno, solo alte mura di cemento. « Cos’è quella specie di passaggio in mezzo a … ma è il Muro!!!»
E’ altissimo, angosciante, uno schiaffo di cemento… Dall’altra parte qualcuno vi ha dipinto un salotto con una finestra enorme che si apre su un panorama alpino: “buca” il Muro.

Sono emozionata, la testa confusa, tra poco ci sarà la prima delle due serate che compongono il nostro breve seminario di shiatsu in Bethlehem. La palestra è quella dello YMCA Young Men Christian Association, un centro culturale-sportivo dotato di piscina coperta, sauna, sala fitness gym, campo da calcio, insomma, sembra di essere in Italia in uno dei nostri centri sportivi, e si pratica regolarmente anche Tai Chi (all’aperto nella pineta quando fa caldo).
Il gruppo del tai chi mi invita calorosamente a partecipare alla loro lezione, io accetto volentieri sperando di scaricare la tensione che sento arrivare.
Non ricordo niente del mio bel discorso in inglese che mi ero preparata come presentazione generale in cui riassumevo i concetti più importanti per comprendere l’aspetto teorico che riguarda lo shiatsu… L’avevo preparato così bene e adesso non ricordo niente, ho un vuoto, la nebbia dentro la testa e gli ospiti sono già arrivati, neanche il tempo di disporre tutti i materassini; non c’è problema, mi aiutano loro, questa è la loro palestra e poi ci siamo già conosciuti al tai chi.
Partiamo. Loro sono una ventina di persone, quasi tutte donne, alcune sono arabe cristiane, altre musulmane, c’è un gruppetto di nordeuropee mogli di palestinesi e ci sono quattro o cinque uomini tra cui Ibrahim “Bruce Lee”, maestro di tai chi e di kung fu.
Comincio a parlare e i concetti più importanti riesco ad esprimerli chiaramente e quando spiego come il ki non è sempre in grado di fluire liberamente nel corpo umano perché si instaurano dei blocchi, tra le risate generali mi rispondono che anche il ki trova i check point!
Dopo venti minuti di parole sono stanchi di sentire e impazienti di vedere messe in pratica le mie “belle” parole.
Basma si precipita a fare la “modella” (ukè) e sottovoce mi confida di avere già ricevuto shiatsu da sua cognata… ma come, pensavo di essere fra i primi “pionieri shiatsu in terra santa” e invece… ma sarà shiatsu o un’altra disciplina che gli assomiglia?... riflessologia e reiki le conoscono bene, forse è davvero shiatsu. Inoltre ho notato che è alto il loro coinvolgimento nel campo delle arti per la salute, che si sono diffuse in occidente.
E’ un allungarsi di colli, io esorto tutti ad avvicinarsi e cercarsi un buon posto per guardare. Sono molto interessati. Mi fanno delle domande riguardo il perché della posizione a terra. Mi chiedono se è possibile percepire il movimento del ki e pensano istantaneamente che anche loro nell’incontro successivo potranno… imparare a “gattonare” rispondo io, che sottolineo di nuovo il carattere di “assaggio shiatsu” che ha il nostro incontro.
Dopo aver lavorato una metà della modella li invito ad osservare e a rilevare le eventuali differenze: « sì questa metà è più distesa, sembra più lunga, rilassata, la spalla è aperta e poggia a terra.» …non avevo suggerito niente…che bravi.

Adesso sono veramente impazienti, vogliono praticare qualcosa. Dopo il break istruzioni per come contattare il partner in maniera rispettosa: suggerisco loro di usare “la mano leggera come una farfalla” e “la mano che contatta il messaggio della vita” frasi per me determinanti per capire la modalità del contatto e che ho ripreso da Patrizia Stefanini e Claude Coldy. Li hanno azzeccati subito, chi ha sentito il pulsare del sangue, chi il respiro, chi il calore prima ancora del contatto. Il resto del nostro tempo lo usiamo per imparare ad appenderci ai piedi del partner, usando il peso rilassato del nostro corpo invece di tirare… non certo uno scherzo…

Il giorno seguente mi propongo di cominciare coi Makko-ho ma a causa dei ritardatari cambio programma e partiamo a camminare nella stanza ascoltando i nostri appoggi su diverse superfici. Solo dopo ci accostiamo al nostro compagno dapprima con lo sguardo e poi col reciproco sostegno della spalla. Sto riproponendo quello che fu il mio week end introduttivo di shiatsu con Dora. Dei bei respiri e poi gattoniamo, sissignori, proprio come i gatti. Loro sono perplessi e diventano timorosi quando, divisi in due gruppi, si gattona anche sulle gambe dei compagni distesi. Oltre alla paura di urtare col proprio peso l’altro, c’è da superare lo scoglio maschi-femmine. Nella loro società non è comune il contatto fisico tra individui di sesso opposto, a maggior ragione se ci sono persone che rispettano particolari regole religiose. Ma il ghiaccio si scioglie e proviamo ad appoggiarci anche sulla schiena del partner, portando peso rilassati, guardando la linea dell’orizzonte senza inarcare la schiena…
Giropiedi tutti seduti in cerchio (mobilizziamo il piede del nostro compagno a destra e a sinistra) e come gran finale la “pulizia delle ali” da seduti.
Ho avuto un preziosissimo aiuto in Ghada che mi suggeriva in inglese e traduceva in arabo, forse la rivedrò in Italia durante uno dei suoi prossimi viaggi.


RAMALLAH


Eccoci qua a Baba Skaq, da qui partono i taxi per Ramallah. Oggi è domenica ed a Bethlehem sono suonate le campane a festa, ma qui è un giorno come un altro, solo il venerdì c’è poca gente in giro e non ci sono gli autobus per “barricade bus station” ( al Kahadar), una specie di capolinea che si è formato in seguito all’interruzione della strada fatta con una montagnola di terra, che serve ad impedire la circolazione delle automobili...
Dopo una mezz’ora di attesa il taxi collettivo (service) non è ancora pieno e Adriana concorda con gli altri passeggeri un prezzo maggiore pur di partire. Parto da sola, a Ramallah ci vado sola, ho paura di sbagliare qualcosa e di arrivare in ritardo.
L’incontro col gruppo di shiatsu è previsto per le 14.00, io parto alle 12.00 anziché alle 11.30 come previsto. Sono poco più di 15 chilometri ma i tempi e i modi di percorrenza sono assurdi. A volte ci vogliono tre ore, ma noi siamo ottimiste e ne calcoliamo una nonostante userò anch’io la strada dei palestinesi. Eh si, un’altra limitazione sono le strade a scorrimento veloce e le autostrade riservate ad israeliani e turisti e proibite ai palestinesi.
Così da Bethlehem a Ramallah ci inerpichiamo su e giù per colli e vallate aridi in un susseguirsi di tornanti da giro d’Italia… A metà strada c’è un check point che sembra un casello dell’autostrada con tutti i taxi gialli in fila.
Di nuovo il muro in costruzione, quello costruito, qualche paesino e la colonia più grande Male Adumim, 37.000 abitanti, una città fortezza che domina la vallata dall’alto di un colle. Dopo un’ora arriviamo a Khalandia, sobborgo di Ramallah con uno dei check point d’ingresso alla città. Fine della corsa, il posteggio dei taxi schierati in fila, le bancarelle e un lungo percorso tra il filo spinato e il cemento prima di varcare il cancello girevole anti… anti cosa?

Sono quasi le 13.40 quando Nadia mi recupera al cancello di Al Muquada, quartier generale dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Nadia insegna pianoforte al conservatorio di Ramallah, è una collega di Adriana ed è lei che ha voluto e organizzato il nostro pomeriggio (quattro ore) di shiatsu.
La casa è in stile europeo, lussuosa, le signore del gruppo credo appartengano alla cultural society ( Ramallah è una specie di capitale amministrativa della Palestina) e io mi sento un po’ intimidita, ma loro sono molto affabili e mi mettono subito a mio agio.
Dato il tempo esiguo dopo le presentazioni mie e dello I.E.S. di Milano, passo subito al trattamento dimostrativo spiegandone via via i vari passaggi e soffermandomi sulle domande più pertinenti. Abla Omaima, Nouranh e le altre sono prese dalla dimostrazione. Il dibattito che segue è anche il modo per spiegare cos’è lo shiatsu coinvolgendo attivamente il gruppo. Il break sembra il tè delle cinque: bibite fresche e biscottini al sesamo e la pausa si prolunga… niente male, recuperiamo tutto dopo con la pratica.Ciò che mi chiedono sono alcune tecniche facili da imparare e che potranno usare per i loro disturbi. Così impariamo a mobilizzare delicatamente il braccio con l’intento di creare spazio nell’articolazione della spalla; ci appoggiamo sul trapezio con gli avambracci per sciogliere le tensioni muscolari; ci massaggiamo i piedi e i polsi; lo srotolamento della colonna e lo stretching delicato del collo. Anche stavolta abbiamo lavorato parecchio, loro sono contente e Nadia mi confida che è stato più di ciò che si aspettavano. Foto di gruppo e poi il rientro.


A Khalandia c’è folla e una gran coda in uscita dalla città, mi sembra proprio il rientro della domenica. Salgo sul service che ripercorre la stessa strada. Il tramonto è di una dolcezza infinita e permea ogni cosa con la stessa luce: il muro, la colonia, i sassi e le colline, senza divisioni…

di Ida Vezzani
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